Per una enciclopedia di autori classici
Giuliana Lanata
L'articolo di Giuliana Lanata presentato al convegno su Giorgio Colli (Pisa, 16-12-1981) è tratto da "Giorgio Golli, incontro di studio", a cura di S. Barbera e G. Campioni, Milano 1983; è stato anche riproposto come Nota in Giorgio Colli, "Per una enciclopedia di autori classici", Milano 1983.
Per la maggior parte della sua vita Colli, come uomo di cultura e come filosofo, non si è espresso in modo diretto attraverso la stesura di opere proprie a cui è arrivato relativamente tardi, ma in modo indiretto, attraverso la realizzazione di imprese culturali dalla cifra inconfondibile. Strumento e fulcro di queste imprese, la casa editrice: perché se, dal 1947 e fino alla morte, Colli fu parzialmente inserito nell'istituzione universitaria come professore incaricato di filosofia antica, egli non intese mai rivolgersi a un pubblico accademico. L'insegnamento universitario poteva attrarre Colli "educatore" per l'occasione che gli offriva di incontrare qualche giovane disposto a coltivare con lui lo spirito dell'amicizia; ma dall'accademia e dagli accademici egli prendeva delle distanze molto nette, dettate dal radicato convincimento secondo cui l'università come istituzione non è in grado di produrre una cultura radicalmente innovatrice.Tale convinzione non aveva nulla di contingente, e si richiamava non solo a una grossa tradizione romantica, ma anche e più specificamente a presupposti nietzscheani e meglio ancora schopenhaueriani. Se, con Schopenhauer il mondo della cultura si contrappone a quello dello Stato e delle sue istituzioni; se, con Nietzsche, il filosofo è intrinsecamente un impolitico; se nelle università celebrano i loro trionfi lo storicismo e lo spirito di sistema, i due ostacoli maggiori per un contatto autentico col fondo talora oscuro e spesso contraddittorio del reale; allora quell'uomo di cultura, quel filosofo che Colli volle essere per tutta la vita doveva necessariamente passare da estraneo attraverso l'università. Ed egli poteva trovare conferme eloquenti a queste sue convinzioni nelle biografie stesse dei suoi autori: anche qui non tanto in quella di Nietzsche, che visse l'esplosione del suo filologismo giovanile all'interno dell'università di Basilea, ma soprattutto in quella di Schopenhauer, che si vide lungamente e tenacemente negato dalla cultura ufficiale del suo tempo il riconoscimento alla sua stessa esistenza come filosofo.Se tutto questo è vero, allora l'unico polo attorno a cui Colli poteva costruire la sua "azione" di uomo di cultura era la casa editrice o meglio e più concretamente l'editore non solo come titolare d'impresa, ma soprattutto come persona da conquistare alla causa di un progetto culturale che, nel momento stesso in cui ignorava l'università, vedeva necessariamente allargarsi il numero dei suoi destinatari potenziali: perché se, come ha scritto Colli a proposito di Schopenhauer, i filosofi non debbono rivolgersi ai filosofi, pubblico troppo ristretto perché ne nasce uno ogni secolo, ma agli altri uomini, altrettanto può dirsi di ogni discorso culturale che non voglia porsi come "professionale".Si dirà che questa ricostruzione ignora o sottovaluta l'aspetto aristocratico che pure fu una componente essenziale della cultura di Colli: ma la contraddizione è dello stesso tipo di quella enunciata nel sottotitolo dello Zarathustra di Nietzsche, "un libro per tutti e per nessuno".Da quanto si è detto finora consegue che Colli era necessariamente, di volta in volta, l'uomo di un solo editore: non l'intellettuale che alloca i suoi prodotti presso questa o quella casa editrice amica o ideologicamente affine, di cui può eventualmente concorrere a determinare la strategia attraverso un'attività di consulenza; ma l'uomo che costruiva il suo intero progetto di "azione" culturale attorno e mediante un'unica casa editrice, meglio se nuova, meglio se piccola. Gli editori diventarono perciò per Colli dei compagni d'avventura, degli amici disposti ad affrontare con lui un "rischio" che era tanto il kindynos platonico e nietzscheano quanto quello concreto del successo dell'impresa: perché poteva essere difficile, entro la schiera dei lettori potenziali, raggiungere i lettori reali di libri che, per le ragioni già dette e per altre che si diranno, nascevano senza un pubblico almeno parzialmente predeterminato. E se talora, con la presbiopia di molti inattuali, Colli riuscì a prevenire o a determinare la domanda di letture prima di lui non praticate o ritenute impraticabili, questo non si verificò in tutti i casi, non almeno per quella Enciclopedia di autori classici che egli diresse fra il '58 e il '65 per l'editore Boringhieri.Qualcuno l'ha definita una strana collana in cui Colli si era proposto di ripubblicare tutti i libri letti da Nietzsche specialmente sotto la suggestione di Schopenhauer. Anche se fosse solo questo, essa ci restituirebbe una fetta rispettabile di cultura ottocentesca: ed effettivamente, dallo Hölderlin che Nietzsche adolescente leggeva a Pforta fino al Taine di cui lo stesso Nietzsche maturo discuteva dolorosamente con Rohde, passando per Chamfort, Vauvenargues, Hume, Voltaire, le Upanishad e naturalmente Burckhardt, è una parte rilevante dell'archeologia e della vita culturale di Nietzsche che viene riproposta al lettore moderno.Ma l'Enciclopedia è molte altre cose. E', in primo luogo, una collana di un centinaio di titoli mai riversati da un catalogo parallelo dello stesso o di altri editori, ma concepiti espressamente per quel progetto, pubblicati in nove anni assieme a un numero ristrettissimo di collaboratori - oltre a Colli, Mazzino Montinari, Gianfranco Cantelli, Piero Bertolucci, e Nino Cappelletti per la parte grafica - e da una trentina o poco più di traduttori-curatori: e sarebbe interessante analizzare la composizione abbastanza eterodossa di quel piccolo e affiatatissimo staff, in cui prevalevano i discepoli e gli amici di Colli giovane professore di liceo a Lucca.Se si considera che i classici di Boringhieri offrivano spesso la prima traduzione italiana di opere capitali, se si pensa che in molti casi ne mancavano edizioni critiche affidabili; se si riflette alle cadenze di tutto rispetto con cui comparivano, ci si può fare un'idea delle capacità organizzative di Colli non solo sotto l'aspetto dell'impegno pratico, ma anche per la convinzione che in genere riusciva a trasmettere ai collaboratori, secondo cui un eccesso di filologismo poteva riuscire paralizzante nei confronti di un progetto di pubblicazione meritevole di essere condotto a termine in tempi brevi.Che il traduttore di un testo problematico deve farsi una propria edizione critica Colli lo sapeva benissimo: per non fare ricorso all'esempio fin troppo facile dell'edizione nietzscheana, vorrei ricordare la traduzione dell'Organon aristotelico che Colli curò per Einaudi e in cui, pur senza presentare un proprio testo, si basò tuttavia su una recensione personale che incontrò l'approvazione di un aristotelista della statura di Ingemar Duering; e d'altronde l'Enciclopedia si sarebbe dovuta aprire alla pubblicazione di una serie di testi critici, come dimostra l'esempio rimasto isolato dell'edizione critica della quarta tetralogia di PIatone. Ma la necessaria preoccupazione filologica non doveva, secondo Colli, mortificare o paralizzare il curatore di un testo che avesse, comunque, qualcosa di importante da dire. I classici poi andavano presentati senza grande apparato di introduzioni e note storicizzanti e sterilizzanti, ma con un minimo di notizie e con una prefazione essenziale, sufficiente per un lettore capace di giudicare da sé e che avesse ancora "qualcosa da decidere". La lettura di queste prefazioni redazionali non firmate che spesso Colli volle stendere personalmente è indispensabile per comprendere il suo progetto generale.Una seconda caratteristica dell'Enciclopedia (procedendo per cerchi concentrici verso il cuore del problema) è costituita dall'inclusione di una serie di testi fondamentali delle religioni orientali, buddhismo, tantrismo, shivaismo, ebraismo, islamismo. Il segno anche qui è prevalentemente schopenhaueriano; ma se l'apertura di orizzonte proposta da tali letture è forse sbilanciata in una direzione affatto particolare, c'è da chiedersi se l'Enciclopedia non potrebbe suggerire qualcosa a talune eccellenti collezioni di classici antichi e moderni che hanno l'unico ditetto di chiamarsi universali quando sono così spiccatamente eurocentriche.Una terza e cruciale caratteristica della collana di Boringhieri è la presenza, in una proporzione assolutamente sconosciuta a ogni impresa analoga, di un numero rilevante di classici della scienza, da Ippocrate a Redi a Fermat a Buffon a Leibniz a Newton a Darwin a Einstein; o anche all'inclusione di scritti naturalistici di autori più noti per altri aspetti del loro pensiero, come il Pascal del Trattato sull'equilibrio dei liquidi, il Descartes del Mondo e dell'Uomo, il Diderot della Interpretazione della natura o il Goethe della Teoria della natura. Pur riconoscendo il peso determinante della scienza nell'informare il corso della civiltà umana, Colli nutriva diffidenza, o per meglio dire avversione per la scienza moderna, che aveva celebrato il divorzio fra l'uomo e l'oggetto del suo conoscere, fra l'uomo e la natura. Proprio per questo egli volle riproporre all'attenzione dei contemporanei una serie di opere scritte prevalentemente in epoche in cui i dadi erano ancora in movimento, in cui l'uomo non era ancora, come nelle parole di Monod, uno zingaro ai margini dell'universo in cui deve vivere; opere scritte da scienziati che erano osservatori curiosi, attenti al fenomeno, ricchi di intuizione e di fantasia, creatori di sistemi e non prigionieri dello spirito di sistema.Le scelte per questa sezione dell'Enciclopedia furono certo operate in prevalenza da Gianfranco Cantelli, che allora curava per lo stesso editore Boringhieri una collana di classici della scienza, ma è significativo che proprio una collana, diretta da Colli, radicale come pochi nella contestazione dei progressismo scientista, abbia offerto al lettore comune, ma anche al cultore di discipline così disparate come la fisica la matematica la medicina la cosmologia la biologia la geologia, la possibilità di confrontarsi con alcuni nessi capitali dei rispettivi campi disciplinari, con alcuni testi cruciali e non facilmente reperibili. E se nel dibattito contemporaneo sulla scienza e sulle scienze la dimensione storiografica assume un peso sempre più rilevante, e se qualche voce si leva a reclamare una "nuova alleanza" fra l'uomo e la natura, può darsi che anche in questo caso l'inattuale Colli abbia visto lontano.Per arrivare finalmente al cuore dell'Enciclopedia, essa può venire caratterizzata in primo luogo in negativo: ne erano rigorosamente esclusi tutti i "sacri testi" delle culture in vario modo egemoni negli anni in cui essa compariva, quella idealista, quella marxista, quella cattolica. Ignorate tutte le forme di provvidenzialismo e di teleologia, rimossi con altrettanta fermezza gli storicismi di ogni colore, ecco emergere gli autori che sanno parlare un linguaggio naturale e se necessario crudo, gli spiriti liberi e "libertini" che combattono l'invadenza della religione e dello Stato come Machiavelli, Naudé o Voltaire; i pensatori antidogmatici, concreti fino alla frammentarietà, come Hume; i moralisti in senso forte, che nelle passioni non obnubilate dalla ragione identificano la realtà profonda dell'uomo, come Chamfort o Vauvenargues, ma anche, se vogliamo, come Stendhal; i filosofi veri, che senza accettare le "regole dei gioco" filosofico sono capaci di concepire una visione totale del mondo, così aspra che i posteri preferiscono ricordarli in quanto poeti, come Leopardi; più in generale, per non insistere in un'esemplificazione che potrebbe rasentare la scala uno a uno, gli autori che rifiutano lo spirito di sistema e i trionfi della raison o della Vernunft, i fenomenologi e gli anti-intellettualisti che con fantasia e passione vanno in caccia della "realtà" e della "vita"; e, naturalmente, alcuni dei suoi Greci. L'avversione per lo spirito di sistema, la diffidenza nei confronti del metodo, i sospetti verso ogni forma di intellettualismo, l'aspirazione a una conoscenza immediata possono portare in varie direzioni: uno degli esiti è quello mistico, rappresentato nell'EncicIopedia soprattutto da molti dei testi orientali. E al proposito si potrà accennare che il Colli maturo, nei libri in cui decise di parlare in prima persona e in talune interviste, fu molto reciso nel "riabilitare" la causa del misticismo.L'Enciclopedia è morta nel 1965, a quel che è dato sapere di insuccesso. E' possibile che il mercato culturale dell'epoca non fosse in grado di assorbire tutti quei volumi; è possibile altresì che i lettori soffrissero nei loro riguardi di disinteresse, incomprensione o rigetto. Oggi, per " l'enciclopedia che gli italiani allora non lessero" esiste un pubblico immune, nei suoi confronti, dalle indifferenze o dalle insofferenze che potevano instaurarsi negli anni Sessanta: tant'è vero che parecchi dei suoi titoli sono stati o sono riassorbiti in altre collane, entro cui per altro inevitabilmente assumono un'identità diversa. E' dunque importante offrire in un unico volume ai lettori di Colli, che sono tanti, e a tutti gli altri lettori possibili, quelle aforistiche prefazioni attraverso cui si può ricostruire un'Enciclopedia non, forse, così inattuale come Colli pensava quando le stendeva.
Archivio Giorgio Colli, Firenze.